La PAC una delle politiche storiche dell’Unione Europea, nel corso del tempo ha consentito lo sviluppo del settore agricolo del vecchio continente assecondando quelle che sono state le esigenze della popolazione.
Dagli inizi della CECA – Comunità europea del carbone e dell’acciaio del 1951 all’Unione a 27 stati membri che conosciamo oggi, di strada ne è stata fatta tantissima, e nel corso degli anni sono notevolmente cambiate le esigenze della società civile; per questo anche la politica sull’agricoltura, cercando di interpretare queste nuove esigenze, ha modificato i propri strumenti ed i propri obiettivi.
In breve, possiamo ricordare i principali passaggi della politica agricola nata con l’esigenza di aumentare la produzione di cibo in un continente devastato dagli effetti della Seconda Guerra Mondiale, alla quale poi sono seguite le politiche per l’aumento e la stabilizzazione del reddito in agricoltura, aggiornate dal 2000 in poi con i principi di protezione ambientale del comparto agricolo.
L’importanza strategica della creazione di un mercato unico di riferimento emerge fin dal trattato di Roma[1]
Tra i settori strategici per il perseguimento degli obiettivi dell’art. 2 del Trattato era riconosciuta l’agricoltura come essenziale. Non a caso è sempre stato un settore ampiamente finanziato dal bilancio comunitario, assorbendo per diversi decenni anche oltre il 50% delle risorse economiche europee.
Con l’evoluzione del contesto europeo si è ottenuta una riduzione importante del plafond a disposizione, in particolare con i cambiamenti nell’ambito socioeconomico dell’Unione Europea. Nell’agenda politica sono entrati altre importanti politiche con le quali l’agricoltura si è dovuta confrontare e con le quali ha dovuto condividere le risorse.
Comunque, ad oggi la disponibilità economica messa a disposizione dell’agricoltura è superiore al 35%.
Rimane quindi una politica di grande importanza sia da un punto di vista finanziario, con circa 50.000 mln di € nei sette anni, sia da un punto di vista socioeconomico; infatti, essa determina la produzione del cibo in Europa. Non va dimenticato poi l’impatto da un punto di vista ambientale: infatti oggi sappiamo che l’agricoltura è molto di più della produzione primaria, l’agricoltura è servizi all’ambiente, paesaggio, cultura. Per questo, quindi, è importante che le scelte politiche che hanno una ricaduta così diretta sulla quotidianità di tutti i cittadini europei siano rispondenti alle aspettative della popolazione.
Durante le analisi di revisione di medio termine l’Unione Europea ha lanciato nel 2017 un sondaggio a tutti i cittadini europei per chiedere cosa ne sapessero della PAC e quali aspettative avessero rispetto alla prossima programmazione.
I dati emersi da questa rilevazione hanno evidenziato diversi aspetti, primo fra tutti la partecipazione che ha confermato le intuizioni iniziali, in secondo luogo il cittadino europeo ha espresso in modo estremamente chiaro ciò che si attende dall’agricoltura: cibo di qualità, cibo sostenibile, cibo sicuro, cibo accessibile. Sono state individuate le caratteristiche che i consumatori vogliono dare al comparto agricolo: smart, agricoltura biologica, resilienza e reddito equo per gli agricoltori.
Quindi non è un caso che negli ultimi anni sia entrato forte nel dibattito della PAC la responsabilità diretta dell’agricoltura nella produzione di gas serra e nell’inquinamento di ambienti e falde. Il cittadino europeo, il contribuente europeo, non è più disposto a finanziare un’agricoltura che produca esternalità negative di così forte impatto.
Il dibattito in merito ai cambiamenti climatici, all’inquinamento prodotto dall’uomo nell’esercizio delle sue attività, tra cui l’agricoltura, è cresciuto esponenzialmente diventando recentemente una questione dall’elevata priorità politica.
In questo contesto, se si vanno ad analizzare le principali fonti di inquinamento, purtroppo l’agricoltura riveste un ruolo estremamente importante, classificandosi al secondo posto tra le attività antropiche di maggiore impatto ambientale.
Basti pensare alle emissioni dei gas clima alteranti prodotte dalla zootecnia intensiva, alla distruzione della biodiversità prodotta da alcuni metodi di coltivazione, alla dispersione nell’ambiente di prodotti fitosanitari e chimici i cui effetti si prolungano per decenni.
La zootecnia intensiva, che concentra centinaia di migliaia di capi in piccoli spazi, forzando ed alterando i cicli fisiologici degli animali, oltre a non rispettare in alcun modo il benessere animale, crea delle bombe ecologiche per quanto riguarda la produzione e la gestione delle deiezioni animali, portando il comparto zootecnico ad essere maggiormente impattante a livello ambientale rispetto ai gas prodotti dalla mobilità ed ai carburanti fossili.
Passando poi alle tecniche colturali ancora oggi troviamo nel suolo tracce del Dicloro-Difenil-Tricloroetano – DDT, molto utilizzato nell’agricoltura dagli anni 40 in poi, e bandito alla fine degli anni ’80.
In questo senso, la responsabilità degli agricoltori e dei legislatori è pesante se si pensa che viene ancora ampiamente utilizzato un prodotto come le glifosate, certificato come cancerogeno da diversi studi a livello Internazionale e definito mortalmente pericoloso sia per chi lo utilizza che per l’ambiente.
Nel contesto europeo a novembre 2019, è stato varato il Green Deal Europeo, un’ambiziosa strategia per il raggiungimento della neutralità climatica nel 2050. All’interno costituito da 7 linee di intervento ben 2 riguardano l’agricoltura e sono la Farm to Fork e la BioDiversity Strategy 2030.
Quindi l’agricoltura è al centro di questo ampio e sentito dibattito, e come abbiamo dimostrato anche con responsabilità importanti.
Evidentemente la domanda che è necessario porsi è: può l’agricoltura assorbire circa il 40% del bilancio comunitario ed essere così devastante da un punto di vista ambientale?
La risposta a questa domanda è maturata negli anni e nel corso delle diverse programmazioni ed è comunque la risposta stata sempre un “no” secco da parte del cittadino-consumatore-elettore.
Tra i primi vincoli ambientali che la politica ha pensato per l’agricoltura ci sono i requisiti obbligatori di condizionalità, che legano il contributo pubblico al rispetto di alcuni parametri di buona gestione agronomica delle superfici agrarie e dell’allevamento.
Questo è sicuramente un primo segnale importante di attenzione della politica alle esigenze ambientali in agricoltura, ma rappresentano requisiti minimi che riducono solo in parte i problemi ma non sono assolutamente sufficienti per cambiare il paradigma produttivo.
Le pressioni sociali hanno portato nelle ultime due programmazioni 2014/2020[2] e 2023/2027 ad individuare dei contributi destinati agli agricoltori più virtuosi ai quali è stato concesso un contributo costituito da diversi pacchetti di possibilità, la cui somma ha dato l’effettivo importo riscosso dall’azienda.
La ratio di questa idea è legata proprio alla consapevolezza che il produttore debba in qualche modo dimostrare di avere i requisiti per l’accesso a parte della contribuzione.
Nella programmazione 2014-2020 questi pacchetti erano costituiti da: Titolo base, Greening, Accoppiato, Pagamento giovani, Pagamento piccoli agricoltori.
La programmazione 2021-2027 vedrà invece i pacchetti costituiti dalle seguenti voci: sostegno di base al reddito, redistributivo, Ecoschemi, Accoppiato, Pagamento giovani, Piccoli agricoltori
Figura 2 – Source Frascarelli – Confronto Pagamenti diretti
Quindi oltre ai requisiti della condizionalità, nella programmazione 2014-2020 era stato introdotto il greening, anche detto pagamento verde, che equivale a circa il 50% del titolo base rappresenta una voce importante della contribuzione.
Il greening avrebbe dovuto spingere gli agricoltori verso delle scelte di gestione delle proprie superfici maggiormente sostenibili.
Il risultato ambientale di questo strumento è stato dichiarato fallimentare dalla Corte dei conti europea, la quale ha sancito che non è stato uno strumento idoneo al raggiungimento degli obiettivi, a fronte delle ingenti risorse stornate per attuarlo.
I limiti principali legati al greening almeno per quanto riguarda l’Italia, possono essere ricondotti ad alcuni requisiti relativi alla misura. Infatti, essa interveniva sopra i 10 ettari di seminativo con delle attenzioni alla diversificazione colturale e sopra i 30 ettari con rispetto delle EFA (aree di interesse ecologico) ma di fatto la totalità degli agricoltori italiani ha ottenuto questo contributo senza modificare le proprie tecniche produttive.
A seguito della constatazione di questo dato negativo, nella programmazione 2023/2027 lo strumento del greening è scomparso ed è in parte è stato assorbito dal sostegno di base al reddito, attraverso l’aggiunta di alcuni requisiti nelle normative della condizionalità.
Ciò vuol dire che alcuni degli accorgimenti presenti nell’inverdimento sono stati declinati nell’ambito della condizionalità determinando così il concetto di “condizionalità rafforzata” e nella nuova programmazione come strumento per un’agricoltura più sostenibile troviamo gli “eco- schemi”.
Il pacchetto degli ecoschemi è sicuramente uno dei punti più dibattuti della nuova PAC, ancora oggetto di attente analisi ed approfondite discussioni per la definizione delle risorse e delle tecniche colturali/allevamento da ammettere a finanziamento.
Infatti, vale la pena ricordare che la nuova PAC prevede l’attuazione di un Piano Strategico Nazionale (PSN) per la definizione di importanti dettagli attuativi della politica agricola, per i quali dall’Europa ci arrivano indicazioni più o meno stringenti, ma sui quali lo Stato Membro ha ampia possibilità intervento.
[1] “La CEE – Comunità Economica Europea ha la missione di contribuire, in armonia con l’economia generale degli Stati membri e in virtù dell’instaurazione di un mercato comune alle condizioni definite all’articolo 4, all’espansione economica, all’incremento dell’occupazione e al miglioramento del tenore di vita negli Stati membri.
[2] PAC 2014-2022, prorogata fino al 31.12.2022 con il Regolamento Transitorio (UE) 2220/2020