IL FUTURO DEL LAVORO È GIÀ QUI
La pandemia ci ha obbligato a fare un largo uso di Smart Working portandoci a:
• Destinare risorse a sperimentare «Cose Nuove» per tentare di reinventarsi. Alcune di esse potranno funzionare altre no. Saremo noi a dover capire quali saranno quelle che hanno un più elevato potenziale di successo. Se adotteremo questo modello, dovremo anche accettare di incorrere in un possibile elevato numero di fallimenti che allo stesso tempo potranno risultare indispensabili per guidare le nostre scelte future.
• Articolare e misurare nuove KPI (indicatori di performance) per evitare di rimanere intrappolati nelle metriche storiche del passato anche recente. Per fare ciò è utile avvalersi degli OKR, ovvero obiettivi verso risultati.
• Precludere opzioni basate sull’evidenza per rimanere agganciati a schemi, a volte superati, senza indirizzarsi verso fasi esplorative per evitare di restare indietro.
Attualmente stiamo vivendo nella cosidetta 4° Rivoluzione Industriale, caratterizzata dalla fusione di tecnologie che stanno trasformando le linee tra le sfere fisiche, digitali e biologiche. Mentre la 1° Rivoluzione Industriale ha usato acqua e vapore per meccanizzare la produzione, la 2° Rivoluzione Industriale ha utilizzato l’elettricità per creare le produzioni di massa, la 3° – infine – ha utilizzato l’elettronica e l’IT (Information Technology) per automatizzare la produzione industriale, l’attuale si sta evolvendo ad un tasso di velocità esponenziale contrariamente a quanto avvenuto nelle precedenti fasi. Essa infatti riguarda la trasformazione di interi sistemi di produzione, innovazione, management e governance.
La possibilità di miliardi di persone connessi con «mobile devices» sono praticamente illimitate. Queste tecnologie emergenti: IA (Intelligenza Artificiale), Robotics, IOT (Internet Of Things), Veicoli Autonomi ed Elettrici, Stampa 3D, Nanotecnologie, Biotecnologie, Scienze dei materiali, Energy Storage e Quantum Computing, rendono tutto ciò fattibile anche se molto complesso.
Theodore Roosevelt, 1858 – 1919, 26° Presidente degli U.S.A. e premio Nobel per la Pace nel 1906 – ebbe a dichiarare:
«Nel momento della decisione, la cosa migliore che puoi fare è la cosa giusta, la seconda miglior cosa che puoi fare è la cosa sbagliata, mentre la cosa peggiore che puoi fare è non fare nulla».
Detta testimonianza avvalora l’idea che le priorità sono in funzione di strategie e scopi (purposes) e sono quindi non rallentabili in funzione di trend passati poiché il rischio è proprio quello di rimanere pressochè immobili.
Questo tipo di approccio al lavoro sta però sviluppando un’allarmante crescita della solitudine, che sta portando disagi alla nostra salute, oltre che alla nostra comunità, ed anche impatti sui risultati economici.
Le aziende convinte dei benefici del «remote working» non debbono però perdere di vista l’importanza delle regolari interazioni personali.
Questa forma di «loneliness economy» sta crescendo a vista d’occhio e continua a crescere. Tutto ciò a causa anche del fatto che stiamo vivendo nel «lonely century» sentendoci sempre più isolati e, quindi, desiderosi disperatamente delle connessioni, anche a livello internazionale, dove invece è necessario sviluppare forti abilità relazionali.